Podismo 2.0, correre in compagnia ma rispettando il “social distancing”

La Strawoman ha bruciato i tempi: tutte a correre dove si voleva, per quanto si voleva e con chi si voleva (a piccoli gruppi)

Due settimane fa mi ero messo a predicare (bene) cercando di razzolare (altrettanto bene) sulle manifestazioni e sull’inopportunità di ricominciare con le tapasciate in un momento in cui la prudenza è ancora forse la migliore delle regole da rispettare per evitare di ricadere nella situazione cervellotica di marzo e aprile con gente che correva sulla terrazza oppure andava in notturna o girava fino al mal di testa intorno all’isolato di casa. Beh, la predica tenetevela stretta, rimane valida e non cambio idea. Ma devo ricredermi, siamo in un’epoca in cui possiamo sentirci uniti da una passione anche senza violare le norme della prevenzione e riduzione del rischio. Come? Usando in maniera “smart” i social network. Ne ho avuto un esempio limpido, nonostante il mio scetticismo, proprio in questi giorni. Avevo ascoltato parecchi annunci pubblicitari della My DeeJay Ten, la versione flash mob dell’appuntamento che Linus ha messo in piedi per far correre la gente in maniera scanzonata raggruppandola sotto l’ombrello di uno slogan, l’ormai noto a tutti “Run like a DeeJay” e che quest’anno per le ovvie ragioni già più volte citate non si svolgerà nella forma tradizionale, ma andando a correre ognuno dove vuole per dieci chilometri. Al grido di “Serve ben altro per fermarci!” l’11 ottobre siamo attesi con la prima edizione della “My DeeJay Ten”, una corsa da fare dove vuoi e con chi vuoi rispettando le distanze! E a dire il vero mi era sembrata un po’ una forzatura. Ma ho dovuto ricredermi, perché qui a Bergamo, così come per l’ospedale da campo abbiamo bagnato il naso ai milanesi diventando un modello umano di resilienza, anche per quanto riguarda la corsa non ci siamo fatti prendere in contropiede e due settimane prima della corsa “nazionale” più famosa si è svolta, con lo stesso format, la Strawoman: tutti, anzi tutte, a correre dove si voleva, per quanto si voleva e con chi si voleva (ma al massimo a piccoli gruppi). Come al solito per raccontarla ho partecipato, anche se sono maschio, ma sono rimasto letteralmente di stucco per una ragione che non mi sarei mai aspettato: la condivisione. Certo, passiamo la vita a criticare e criticarci perché riempiamo le nostre pagine Facebook o Instagram di selfie o foto ridicole, ma questa volta posso confessare che mi sono un po’ emozionato. Una maniera per ribadire il piacere “collettivo” di un’attività che non possiamo svolgere nelle forme di massa che tanto rendono giocosa la corsa è stata resa possibile dai social network, dalla pagina dedicata all’evento ma anche dalle centinaia di foto scattate con magliette rosa con scritto Mola mia e comparse sulle bacheche di ragazze e donne di ogni età e di ogni provenienza, a testimonianza di due fatti che sono orgoglioso di poter rilevare su queste pagine. Il primo: correre è uno sport senza una connotazione preferenziale, che tu sia maschio o femmina la cosa importante è che tu corra, senza se e senza ma, perché troverai donne che vanno più forte di te, altre che corrono al tuo passo, altre ancora più lente, ma le saluterai tutte senza alcuna discriminazione per la semplice ragione che condividono la stessa tua passione. La seconda: la tecnologia digitale che molti considerano con timore perché capace di trasformare le persone in isole collegate le une fra le altre soltanto da byte è capace di unire l’esperienza fisica di donne e uomini che hanno in comune la cosa più naturale fra gli sport, la corsa. Non dico di ringraziare Mark Zuckerberg, ma i social network sono - per noi corridori - uno strumento di contrasto della diffusione del virus Covid e uno strumento di ampliamento della diffusione del virus corsa.